CAVALIERE NEL VENTO
Come seni turgidi di corpo
percosso dai brividi del freddo
si ergevano le cupole di questa
gigantesca città fra le brumose
lontananze di fitta e leggera
pioggia incessante, che incessante
pungeva mentre mi aggiravo
su di un suo ventre umido e molliccio,
con solo l’ombrello come rifugio
Da bagnate superfici, filiformi
i lampioni s’innalzavano, in esse
conficcati a mo’ di spilli, come
se l’organismo urbano fosse
ad una seduta di agopuntura
per la depurazione di tossicità
Appena appena gli aghi di pioggia
apparvero, guardando controluce,
grazie all’occhio in cima all’enorme
spillo; ed improvviso un refolo
agitò l’acqua, e per un attimo
apparì, avvolta in un mantello
di vento, la figura fantasmatica,
appena sbozzata, di un cavaliere
Uno di quei mitici cavalieri
che rivengono da memorie
così lontane che paiono ere;
uno di quei mitici cavalieri
forti nelle armi e ricchi di amori
capaci di uccidere
e di gentili maniere
Mitica, fantastica, la figura
scostò la impalpabile mantella,
liberando, in brusio di lieve
farfalla, uno strano scintillio,
il quale, svanendo, si portò appresso
l’insieme della magica apparizione;
che dunque scomparì veloce come
quegli istanti dell’effimera
e dell’esuberante felicità
ai quali a volte con l’ombrello
ci si fa da schermo
Abbassai lo sguardo sul lastricato
durissimo, non più umido ventre;
mi allontanai e ripiegai
l’ombrello, affinchè gocce di pioggia
rigassero abbondanti il volto
per mimetizzare quelle lacrime
attestanti che un immenso poco
è già un intenso molto
UNA FANTASTICA LEGGENDA
A volte ironicamente ridendo,
altre
sornionamente sorridendo,
altre
ancora comicamente
e
talvolta tristemente,
da
laddove tutto si confonde
in
saporita e masticata fusione,
ancora
più in dentro
del
canale dell’antro che canta,
collo
stomaco immagino,
e
mi rappresento
la
testa come una basilica
nel
cui cervello a cappella
lottano
senza sosta,
a
fil di spada e a suon d’insulti,
dei
bianchissimi scheletri
e
delle donne di specchi e vetri,
come
in una fantastica leggenda
che
parla d’amore e delle sue gesta
LA FALENA
Visibilissime
erano le stelle,
in
quell’angolino del globo
così
debolmente illuminato
che
esse risplendevano vivissime,
mentre
noi amabilmente si chiacchierava
tra
noi causando dell’atto di sodomia
-
che il solo chiamarlo così ne toglie tutta la poesia -
che,
ecco, un’improvvisa sorpresa
ci
colse entrambi, facendoci sospendere
ogni
nostra attività, e rimanemmo
un
istante là, esattamente come le stelle
che
sbrilluccicano perché stupite di affacciarsi
dal
niente: il più che particolare
si
tramutò nel più che universale,
nell’ottica
dell’antropomorfa metaforica
metafisica:
una di quelle farfalle
notturne,
dette falene, che al calare
della
sera si fiondano disorientate
verso
una fonte di luce o di calore,
ecco,
che sbandando si buttò a capofitto
verso
la nostra romantica candela
Subito
si sparse un forte odore di fritto:
la
farfalla ci aveva rimesso un’ala
e
subito precipitò nella letale cera
E
così al buio si passò
mentre
era ancora sera
Con
orrore in me mi reincarno,
traslandomi
dall’osservazione
di
quella buia e nuda farfalla,
e
mi chiedo se lei è scema …
poi
mi ritraggo e mi chiedo,
colorato,
se non sono io
un
abbigliato codardo
AMMANETTATAMENTE
Spontaneità
e cuore
Sincerità
e ragione
Qual
è l’assonanza giusta
con
amore e quale
con
passione?
Come
al solito pare
un
gioco di
contraddizione
Sogni
di manette
nel
principio della
passione
che limiti
non
mette: è un volo
magnifico,
un colpo
d’occhio
tondo
che
riflette la totalità
del
mondo in
assenza
di riflessione, in
assenza
di contraddizione
Sogni
in manette
nel
principio della
ragione
che i limiti
li
mette: uno strano
gioco
di fantasia
che
si mischia a
una
aspettativa, senza
che
in fondo nessun
motivo
vi sia, assenza
positiva
di opposizione
Ma
quanto odio in fondo,
nel
fondo del mio io,
la
richiesta di un gesto
sincero
che non sento mio
Mio
è solo lo spontaneo
gesto,
non quello sincero?
Come
al solito pare
il
gioco di trovare,
nel
mezzo
della
giusta illusione
che
permetta un insolito equilibrio
tra
i vari tipi di contrazione:
spontaneità
e sincerità,
passione
e amore,
cuore
e ragione;
forse,
insomma, umore!
Ecco
forse così risolto l’enigma, di cui
ai
polsi, con orgoglio e rassegnazione,
ancora
porto le profonde stigma
TENTAZIONE
O DESIDERIO?
Abbandonato ormai alla risacca
del mare del pensiero, senza mai
prestare attenzione, la mia sacca
da spiaggia con cura preparai
Seguitando a pensarti, mio caro
pensiero, duramente eccitato,
mi condussi, evitando stecchiti
fiori di buganvillea a fili
di ragnatela appesi, e portando
enormi pesi rotondi fra le cosce;
mi portai verso sentierini a
gradini
degradanti verso la battigia
Già da principio il ribollio
bianco e il fragore del mare
ipnotizzarono il mio cavo io,
che ipotizzando si chiese se eri
tu
che m’inducevi in tentazione
o ero io o era quel pensiero,
che fu già un insano desiderio,
o sano, desiderio, desiderio di
te
La voglia, inappagabile,
di vederti comparire, improvvisa,
allegra come un’adolescente
in costume azzurro spezzato,
saltellante verso di me sulla
rena
bagnata, ad offrirmi quel fiore,
spesso
appassito, ma che sboccia
mensile,
a cui tanto tieni, e che credi
fermamente il dono migliore
per me; questa voglia non sbollì
nemmeno quando mi feci il bagno
nel freddo schiumoso e salato
Solitaria rimase, purtroppo,
la selvaggia spiaggia;
e ancora me ne compiango,
e, ancora sospeso nei dubbi,
ancora ne languo e me ne lagno
LE COLONNE
DEL DUBBIO
Azzurre come
fiamme nella luce blu
le bianche
colonne tremolavano
fredde in
più punti sbeccate
a protezione
del più sacro
tabernacolo
(abbracciandolo
come in
calda gabbia) del più misterico
tempio, poco
più avanti noi;
mentre noi, avvolti
su noi
dalla dolce
puzza acre
di una vita
sporcatamente
vissuta
negli ultimi inebrianti
fluidi al
limite del crepuscolare
(insomma un
forte odore di sudore);
noi, ci
facemmo accarezzare
dal lieve
soffio della purulenta
e adamantina
serale che divinava
enigmatica,
seraficamente,
sibillando
chiedendoci:
“Avverrà che
in tempo maturità
uomini già
vecchi oscilleranno,
spiazzati, fra
due risalenti verità:
ama il
prossimo tuo come te stesso; e:
ai cieli
arrivò dimenticando se stesso”
Ci graffiò
questo canto immobile
lievemente
sussurrato
Ci graffiò
come forte folata
su spiaggia sabbiosa
desertificata
Almeno a me
sicuro, non so a te, amico,
a me,
dimentico;
al me che
non amo come non amo
il prossimo
mio; a me,
io, che
incarno perfettamente
quello che reprimo:
io e me stesso
Io, ne
rimasi segnato!
Qui la
contraddizione della divina
sua lezione,
per cui dolore e godere
sono
intrecciati al piacere
Le colonne
del misterico tempio
vergognosamente
avvamparono
per
l’impudico rosso segreto
di questa
deifica profezia
ALI D’OSSA
Finito
l’astratto
studio
masturbatorio
piombo
nel biancore
di
questa molliccia stanza
Necessario
aprire
l’ermetica
imposta
Fertile
vento freddo entra
Nell’antro
e incostante delinea
i
profili nascosti della faccia
Volto
affacciato osserva il confine
fra
terra e mare segnato
da
un campo di pallacanestro
di
umida e morbida sabbia molliccia
Orecchio
è inondato
dagli
incessanti frastuoni
dell’accavallamento
dei cavalloni
In
alto la lama sorridente
della
luna luminosa
pare
con comodo affettare
morbide
scie nuvolose
All’orizzonte
lampare
In
basso una folla
di
rossi manichini
dagli
occhi gialli
che
spostati dal vento
percossi
pare vogliano
spossati
camminare
Si
rigonfiano i polmoni
dell’acre
odore dell’aria
impregnata
di acqua salmastra
e
il desiderio comincia
lento
a veleggiare
Desiderio
di vicenda carnale
Ma
adesso
in
questa falsa solitudine
di
specchio illuminata
da
un fioco azzurro spettrale
le
vele del desiderio
le
ali del sogno
non
fanno una mossa
Queste
ali non sono piumate
non
sono di gesso
ma
pesanti come ossa
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