Notte. Nel letto bastardo, nel
letto a una piazza e mezzo, l'autore (Enomis, poeta dilettante in senso
baudelairiano e saviniano, delirante, amante dei versi più che del verso, alla
ricerca del gesto perfetto, insomma: sperimentarista) scopre, con tutti i suoi
sensi acuiti a causa dell'insonnia assetata, l'alchimia della scrittura.
Quest'esperienza lo porta a pensare il presente (e all'impossibilità di
renderlo, nella sua completezza, con la scrittura) e a ricordare allegoricamente
il suo innumerevole passato e nello stesso momento lo proietta verso il futuro,
sospingendolo verso arcane profezie, sul destino dell'umano in chiave
esistenziale e istituzionale e religiosa, passando attraverso riflessioni ipnagogiche
da dormiveglia. "Ecco la bianca notte che avanza".
la
notte avanza
La quotidianità
al tramonto
si colora e appare
come un semplice annerire
spazi bianchi
È lì la creazione che finisce?
Si è forse solamente stanchi?
Ma non è forse la stanchezza
ciò che, come la scura notte,
avanza sempre
a quest’ora del tramonto?
Ma se sempre avanza
ciò vuol dire
che la riserva
è costante e in abbondanza!
Ecco la bianca notte che avanza
in bilico sul letto: “Che sete!”
Da
quanto tempo non trascorrevo
una
notte al vento dei pensieri
senza
sentir trascorrere il tempo
E
questa volta scrivo e leggo per diletto,
perché
mi sento in pace
o
perché non so far altro;
e
tra i vari passatempi
io
mi sento il vento
quando
mi trovo davanti al foglio
aperto
e nero e bianco
e
senza aver niente da dire
lascio
la penna andare
su
quel che vuole proferire
E
ora muovo
E
tutta l’astrattezza,
che
è ancora là,
in
un attimo,
dopo
l’azione,
si
frantuma
E
io, ora lo ricordo, in quell'istante,
mi
sentii in bilico
sul
bordo del letto
(uno
di quei letti con rete,
uno
di quei letti brutti e molli,
uno
di quei letti che mettono sete)
già
sapendo che domani (e anche ora lo so)
sarà
un ennesimo letto che attraverserò,
assaporando
l’Eunoè, dopo la mattutina
e
rigenerante lavata in acqua di Lete
A
volte avvolto, altre volte scoperto,
in
bilico sul bordo del molle letto,
come
un inaudibile comandamento
-
e perciò qui ora scritto lo metto
da
questo letto ormai a una piazza e mezzo-,
non
posso far altro che ripetermi,
che
sia Eunoè o che sia Lete:
“Che sete!”
intrecciati a Piacere
Azzurre come fiamme nella luce blu
le bianche colonne tremolavano,
fredde al vento in più punti
sbeccate,
a protezione del più sacro
tabernacolo del più misterico
tempio, (abbracciandolo
come in calda gabbia) poco più
avanti a noi;
mentre noi, avvolti su noi
dalla dolce puzza acre
di una vita sporcatamente
vissuta negli ultimi inebrianti
fluidi al limite del crepuscolare
(insomma un forte odore
di sudore mestiere e lavoro);
noi, ci facemmo accarezzare
dal lieve soffio della purulenta
e adamantina serale che divinava
enigmatica, seraficamente,
sibilando chiedendoci:
“Avverrà che in maturità
adolescenti già vecchi oscilleranno,
spiazzati, fra due risalenti verità:
«ama il prossimo tuo come te stesso»;
e:
«ai cieli arrivò dimenticando se
stesso»”
Ci graffiò questo contraddittorio
canto
immobile lievemente sussurrato;
ci graffiò come sabbia sollevata
da forte folata
su spiaggia sabbiosa desertificata
Almeno a me, sicuro,
non so a te, amico;
al me, non dimenticabile,
al me che non amo come non amo
il prossimo mio, a me,
io, che incarno perfettamente,
all'inverso,
quello che reprimo: io e me stesso;
Io, fra il prossimo e il cielo,
da codesto canto immobile e
sussurrato,
io, ne rimasi segnato!
Qui la contraddizione della divina
sua lezione, per cui, in conseguenza
di una certa logica, dolere e godere
sono intrecciati al Piacere
Le colonne del misterico tempio
vergognosamente avvamparono
per l’impudico rosso segreto
da me or ora svelato
di questa deifica profezia,
alla luce del sole in tramonto,
con me accanto e l'amico
con le dita intrecciate,
la bocca aperta, basito,
stupefatto di colore livido
Finalista al premio: il mio esordio!!!!
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